Vizio di Forma: Il grande Lebowski secondo Paul Thomas Anderson

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Un rotolacampo che – indovinate un po’ – rotola per la strada, da Hollywood fino alla Los Angeles bassa, mostrandoci panorami, negozi, incroci. E una voce narrante – da uomo, profonda – che ci racconta l’inizio della storia che stiamo per vedere. Il grande Lebowski, dei fratelli Coen, parte così. California, caldo. La città degli angeli, e subito facciamo la conoscenza di Drugo – la prima volta che lo vediamo è in un centro commerciale, a comprare latte per il suo White Russian. Tornato a casa, viene messo all’angolo (e con la testa nel gabinetto) da una coppia di strozzini, convinti che sia lui il Lebowski coi soldi. Pisciano sul tappeto, letteralmente, e da lì avrà inizio l’epopea di Drugo, investigatore per caso, fattone abitudinario, grande appassionato e giocatore di bowling, ex-comunista convinto dei college californiani.

Tenete a mente questo inizio, e non potrete fare a meno di paragonare Vizio di forma di Paul Thomas Anderson a Il grande Lebowski. Per carità: ci sono due ironie diverse, che si avvicinano e a tratti si toccano, ma che hanno due scritture completamente opposte (più surreale quella del Drugo, tendente al realistico, pure con i suoi effetti collaterali, quella di Doc). E se il film dei Coen è una commedia, quello di Anderson è più un giallo, un noir – privo di viaggi a bordo di tappeti volanti o di stacchetti musicali con le valchirie. Il Drugo, poi, è investigatore per caso; Doc lo fa professionalmente, con tanto di licenza. E non ha il volto di Jeff Bridges, ma quello di Joaquin Phoenix: un hippie convinto, capelli lunghi e barba sulle guance, grandi basette, sandali sempre al piede (anche Drugo ce li ha, a ben ricordare).

La storia di Vizio di Forma non è lineare e “semplice” come quella de Il grande Lebowski, di cui si capisce tutto in poco più (o poco meno, dipende dallo spettatore) di mezz’ora. In Vizio di Forma, veniamo catapultati in un giro impossibile, incredibile, fatto di spie e controspie, di intrallazzi tra governo e spacciatori, di federali e di costruttori, di ex-fidanzate e di poliziotti scontenti, che fanno gli attori nel tempo libero. Nostro anfitrione è Doc. E insieme a lui, indagheremo sulla Golden Feng, prima barca a tre alberi, poi triade cinese, infine scudo fiscale per alcuni “potenti” (e particolari) dentisti. La sottotrama è la droga, l’eroina. E se in un primo momento Doc vuole aiutare Shasta, la sua ex, alla fine si convincerà a fare la cosa “giusta” e a riunire una famiglia. Al suo fianco, Bigfoot Bjornsen, “lo sbirro”, interpretato da Josh Brolin; e l’avvocato (di diritto marittimo) Sauncho Smilax, che ha la faccia di Benicio Del Toro. (Quando li vediamo tutti e tre insieme, seduti a un tavolo nel distretto di polizia, riusciamo quasi a vedere il miracolo del cinema: quello fatto di poco, di grandi interpretazioni e di facce espressive, voci calibrate e camera che segue le battute, chi parla.)

Ora un avvertimento: state attenti quando guardate questo film. Non bisogna distrarsi nemmeno un secondo o perderete completamente il filo degli eventi. Sottotesto di: ottima musica, battute allucinanti e allucinate, nazisti della fratellanza ariana, tanta droga e piedi sporchi.

Com’è chiaro – e anche com’è giusto secondo alcuni puristi del cinema – Vizio di Forma ha i suoi difetti. È lento, è pesante, a tratti è eccessivo. Ma superato il primo giro di boa, ovvero superata la prima ora (su due e ventotto minuti) di proiezione è tutto in discesa, e vi dispiacerà quasi separarvi da Doc.

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Vizio di Forma, titolo originale: Inherent Vice, è il tentativo di Paul Thomas Anderson di riscrivere un genere: di divertirsi. Anche se non abbandona mai il suo stile, la sua scrittura ponderata e ben calibrata, la sua regia fatta di primi piani, mormorii indistinti. Più di una volta, prova a mettere KO lo spettatore con trovate assolutamente incredibili, degli scatti (di idee e di camera) che hanno dello psichedelico. E non si capisce mai – davvero, mai – cosa sia reale e cosa no. Se le voci che sentiamo sono voci di persone vere, oppure se sono solo il frutto dell’ennesimo trip di Doc. Se il sesso, quello lesbo, quello da una leccata e via, quello consumato sul divano in pochi minuti, fatto i frenesia, di ansia e di passione, sia solo un sogno ad occhi aperti, masturbazione consumata davanti al televisione, o una scarica demolente di adrenalina.

Il grande Lebowski faceva ridere per il suo surrealismo, per il suo continuo essere al di sopra delle righe e per i suoi personaggi, tutti più o meno caricaturali, dove il più normale (assurdamente) era il Drugo. In Vizio di Forma, invece, ci sono stereotipi ricalibrati, possibili, magari addirittura verosimili, e l’ironia si regge sul treppiedi della cronaca, della scrittura e della droga. Da vedere? Sì. Ma tenete a portata di mano il foglietto illustrativo: può avere effetti collaterali.

Fonte: Wired

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